Furla, ricavi in forte crescita

by Redazione Commenta

Nei primi otto mesi dell'anno sono apparsi superiori al 30% in confronto al medesimo periodo di riferimento del 2014.

I ricavi di Furla sono in forte crescita e il 2015 si conferma un anno molto positivo per il gruppo che ha chiuso il terzo trimestre facendo registrare un +30%.

Un risultato soddisfacente, che è frutto degli investimenti fatti dalla famiglia Furlanetto nella distribuzione del gruppo di borse e accessori.

Tra gennaio e giugno il gruppo di Bologna ha infatti aperto ben 39 nuove boutique prevalentemente in Europa, Asia Pacifico, Stati Uniti e Giappone. E così a fine giugno 2015 i negozi monomarca Furla nel mondo sono saliti a 437, sbarcando nelle vie più prestigiose delle capitali dello shopping internazionale, dalla Fifth Avenue a New York a Ginza a Tokyo e prossimamente, Piazza di Spagna a Roma e Mira Mall a Hong Kong.

“Siamo molto orgogliosi delle performance che la nostra azienda ha messo a segno in questa prima parte dell’anno – spiega Eraldo Poletto, ad del gruppo – è una nuova, importante conferma della forza del brand a livello internazionale. Abbiamo molta fiducia, quindi, in un’ulteriore crescita futura. Da un lato contiamo sul successo consolidato delle attuali linee di prodotto. Dall’altro stiamo per affiancarle con nuove categorie merceologiche, che l’azienda ha sviluppato con la stessa determinazione e intuizione”.

Le vendite sono cresciute non solo grazie ai nuovi negozi, ma anche per merito dei nuovi prodotti: i ricavi a parità di perimetro e di cambi dei negozi a gestione diretta sono infatti aumentate del +22% rispetto al primo semestre del 2014, e continuano a rappresentare il 65% del fatturato consolidato. L’esportazione, trainata

dal Giappone, che rappresenta il primo mercato per il gruppo (25% del fatturato complessivo), è fra i principali driver della continua crescita di Furla e produce l’80% del turnover. Ma anche altri mercato hanno dato risultati molto positivi: l’Europa (Italia esclusa) è cresciuta del 29%, gli Stati Uniti del 28%, e l’Italia del 18 per cento.

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