Al termine della riunione di giovedì del vertice della Banca centrale europea, il presidente dell’Eurotower Mario Draghi non ha escluso un rafforzamento del quantitative easing e un ulteriore calo del tasso sui depositi, dal momento che la ripresa è in atto ma è fragile e l’inflazione potrebbe scendere ulteriormente.
Tra l’altro lo stesso Draghi in conferenza stampa ha spiegato che alcuni banchieri sarebbero stati favorevoli a un intervento immediato. Difficile che a questo punto non accada nulla nell’ultimo meeting dell’anno. La risposta della Cina, in quella che ormai è una guerra valutaria mondiale, è stato il taglio dello 0,25% del costo del denaro.
Nel frattempo, i mercati guardano con una certa preoccupazione alla crescente divaricazione tra la politica monetaria della Bce e quella della Fed, con in mezzo l’incognita cinese: se il 2016 si prospetta come un anno di ulteriore allentamento monetario per il Vecchio continente, negli Stati Uniti dovrebbe iniziare la graduale stretta. Per gli addetti ai lavori, infatti, è quasi impossibile che il governatore della Federal Reserve, Janet Yellen, tocchi il costo del denaro prima di fine anno, ma è probabile che i tassi inizino a salire a gennaio o – al più tardi – a marzo. Che la situazione macreconomica non sia semplice lo dimostra anche la decisione della Cina di tagliare nuovamente i tassi: come detto, la Banca centrale ha ridotto il costo del denaro di 25 punti base e ha tagliato il coefficiente di riserva delle banche di 50 punti base, con un ulteriore riduzione di altri 50 punti base per alcuni istituti.